La mia montagna

A Francesco

Nell’esperienza e nella pratica estrema di Walter Bonatti “montagna” vuol dire essenzialmente emozioni forti, travolgenti molte delle quali tutt’altro che gratificanti. Che sia il disagio per uno scomodo bivacco sospeso nel vuoto, o il dolore provocato dal gelo estremo a quote di 8000 metri, la paura feroce nel non sentire più i propri arti o ancora il perenne timore di chi sa che l’inaspettato avvicinarsi del maltempo, a certe altitudini, può avere conseguenze irreparabili. Bonatti ci ha raccontato un mondo duro e spesso ostile, con paesaggi lunari e fuori dal mondo, inadatto alla vita, dove il cedimento di un chiodo, o una lastra di ghiaccio invisibile, possono trasformarsi in ogni momento in una tragedia.

Ma allo stesso tempo, e forse anche grazie a questa continua lotta per la sopravvivenza, la montagna è capace di regalare gioie totalizzanti e sensazioni altrove introvabili: come quella di poter rivedere spuntare il sole dopo una notte passata all’addiaccio o l’indescrivibile euforia nel rendersi conto di essere finalmente arrivati sulla stessa cima che fino al giorno prima sembrava irraggiungibile.

Io, che non ho la forza e la preparazione dei grandi alpinisti, in montagna ho scoperto, nel mio piccolo, il valore dell’avere una meta da raggiungere e non demordere di fronte alle difficoltà, dell’amicizia, delle piccole cose e della forza della natura, aspetti tutti che, in alta quota, assumono un straordinario valore, perché ciò che a valle è scontato, reso banale dall’abbondanza e dalla poca conoscenza, lassù diventa energia, positività e solidarietà per aver raggiunto un obiettivo, nonostante gli ostacoli e i pericoli.

“Lassù è una festa e tutto è vita”